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© Nanabozho (il Coniglio Magno)

Aggiornamento di questa versione italiana : 5 dicembre 2006

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Non fare il male

Non fare il Male:

Conferenza sulla moralità buddhista, di Eido Michael Luetchford

Novembre 1997

La maggioranza delle religioni hanno le idee chiare rispetto a quello che sono il bene ed il male. Il Cristianesimo, per esempio, crede nell'esistenza di due aree della moralità; un mondo del bene (il cielo) ed un mondo del male (l'inferno). Mentre è possibile che le popolazioni pertenenti alle culture cristiane non credano più all'esistenza reale di questi due mondi, com'era il caso nel Medioevo, credono pur sempre che vi sono due tipi di azioni: quelle buone e quelle cattive.

Le religioni in linea di massima dispongono criteri morali a mo' di guidare i credenti verso il bene, ed allontanargli dal male. Cioè che la gente si crede che le azioni possono venir giudicate in quanto buone o male. E credono che è possibile delimitarle chiaramente le une dalle altre. Il Cristianesimo tiene i Dieci Commandamenti in quanto basi delle buone e cattive azioni, ma, nella pratica, le società cristiane hanno sviluppato sistemi etici e linee di condotta per insegnare alla gente quel che è buono e quel che è male. Non è esagerato dire che uno degli oggettivi del Cristianesimo è l'eliminare il male della superficie del globo e lasciarvi solo il bene. Tuttavia, da un punto di vista buddhista, questo è sì un esercizio sterile. I buddhisti credono che la realtà o Dharma è aldilà dei concetti di bene e di male, cio" che contiene altrettanto dell'uno e dell'altro senza separazione; in uno stato pre-concettuale. Tentare di eliminare la metà della realtà pare; per definizione, irrealizzabile. Ben più ancora, lo sforzo cosciente di eliminare la metà della realtà è pure precisamente una specie di affermazione dell'esistenza di ciò che si vorrebbe togliere.

Il Buddhismo non dice che non c'è moralità; afferma però l'importanza centrale della morale e della condotta etica in ogni ambito della vita. Il suo approccio della condotta morale, però, è molto diversa degli insegnamenti della società cristiana. Anche se crede il Buddhismo nell'azione giusta, insiste che l'azione giusta non è la stessa cosa del nostro concetto dell'azione giusta; che l'azione morale non coincide sempre con le nostre nozioni preconcette della moralità. Ragione sta che il Buddhismo crede che solo questo posto qui e questo momento adesso sono reali e che il resto, passato ed avvenire, non hanno esistenza reale. Ne fuoriesce che l'unico posto dove la condotta possa essere buona o cattiva è qui ed adesso. Così sottolinea il Buddhismo che il bene ed il male hanno un rapporto diretto col momento presente, qui ed adesso. Agire moralmente significa agire correttamente a quel momento preciso. Agire correttamente in questo momento stesso è l'unica vera moralità. Evidentemente, possiamo discutere del bene e del male in quanto concetti astratti, pero quelle astrazioni sono sempre separate della situazione reale cui siamo al confronto qui ed adesso, e sono quindi parziali, e non potranno mai fungere da guida completa per la nostra azione al presente.

Eppure da il Buddhismo delle linee direttrici per una condotta buona, nella forma dei precetti buddhisti. Questi precetti però, non sono da concepire come regole rigide che si debbono seguire a pena di peccato, come lo sono, per esempio, i Dieci Commendamenti cristiani. I Precetti buddhisti sono linee di condotta per una condotta corretta.Nelle situazioni reali, però, il nostro comportamento di decide a secondo dello stato del nostro corpo/mente al momento dell'agire, e non a secondo dei Precetti presi isolatamente. Proviamo sinceramente di seguire i precetti, però se infringiamo uno di essi, il Buddhismo ci incita a ritrovare lo stato di equilibrio ed agire correttamente al presente, piuttosto che fare penitenza per la cattiva condotta passata, ch'è passata e non potrà mais venire cambiata.

Quel che dice il Buddhismo, è che agiamo moralmente o correttamente o meno, in questo momento non dipende dal nostro concetto o della nostra credenza in ciò che è bene o male, ma dallo stato del nostro corpo e mente al momento presente. E' ovvio che non possiamo dire che la discussione sulla morale non ha nessun valore, ma discutere di morale ed essere morale sono diversi, e l'essere morale non riposa su di una discussione sulla morale, ma sul nostro stato al momento presente.

Se siamo un po' squilibrati, o disturbati per qualche raggione, agiamo a volte in un modo nello quale non agiremmo normalmente; ad esempio, facciamo qualcosa che ci eccita o ci perturba. Quando agiamo così, eccitiamo o perturbiamo prima di tutto noi stessi. Questo si riproduce spesso nella nostra vita quotidiana, e la maggioranza del tempo, non ce ne accorgiamo. Ad esempio, ci irritiamo leggermente a proposito di qualcosa (repulsione) o siamo fortemente attratti da qualche cosa altro (attrazione). In linea di massima, continuiamo la nostra vita normale, e l'umore o lo stato nostrano oscilla un po' dall'agressivo al passivo, dall'attrazione alla repulsione, e ritroviamo il nostro equilibrio poco a poco che avanza il giorno. Accade a volte che la nostra oscillazione sia abbastanza ampia per che notiziassimo che siamo eccitati o arrabiati o qualchesia, ed occasionalmente, constatiamo nettamente che lo stato propio nostro è turbato.

Stare in uno stato di turbamento è in rapporto con uno squilibrio nel sistema nervoso autonomo nostro. Quando il sistema nervoso parasimpatico è più forte, siamo abitualmente passivi, amabili, poco disposti a litigare, ma propensi al desiderio. Quando il sistema nervoso simpatico è più forte, siamo abitualmente agressivi e idealisti, propensi alle liti e senza riguardo per il conforto fisico. Non se ne conosce ancora bene il meccanismo, ma è probabile che esista un effetto di ritorno; cioè che una condotta agressiva possa stimolare ancora di più il sistema nervoso simpatico, ed un potente desiderio può ancora più stimolare il nostro sistema nervoso parasimpatico. Questo è pure in rapporto con i cambi chimici di ormone e i livelli di endocrini nel nostro sangue, altrettanto che nelle altre parti del nostro corpo, e queste trasformazioni dei livelli chimici ci seguono per qualche tempo. Dimodoché se, ad esempio, ho bevuto troppo, non solo m'ubriaco, pero mi sento anche diverso dalla normale per più di un giorno dopo. O se ho avuto una lite ed ho perso la calma (causa) mi sento turbato, e questo stato di turbamento perdurerà in me per qualche tempo (effetto). Così, la causa e l'effetto si stendono dalla sfera del mentale sino a quella fisica. Lo stato nostro fisico colpisce il nostro stato mentale e vice-versa. Difatti, il Buddhismo dice che vi sono due faccie ad ogni cosa. Corpo e mente sono uno solo.

Se agisco quindi in una maniera che non è equilibrata, mi turbo da solo, e questo turbamento rimane nel mio corpo/mente. Quando facciamo la constatazione che siamo turbati in questo modo, sentiamo a volte che abbiamo agito male. "Oh! Non avrei dovuto bere tanto!" o ancora "Non avrei dovuto sgridare questa persona", od altro dello stesso genere. Oppure una parte di noi stessi nega che ci sia qualcosa di male all'aver fatto quel che abbiamo fatto. Questi due punti di vista opposti, colpabilità e denegazione, ci fanno spesso sentirci ambivalenti rispetto alle nostre azioni, incapaci di vedere o di decidere chiaramente si la nostra azione era "buona" o "cattiva".

A fine di spiegare le concezioni buddhiste sul problema del bene e del male, Maestro Dogen a scritto un capitolo del Shobogenzo intitolato Shoaku-makusa -- "Non fare il male". Vi cita un' antica quartina buddhista che dice che di fare il bene, non fare il male, è l'insegnamento di tutti i Buddha; che se facciamo il bene, la nostra coscienza diverrà chiara (la mente verrà purificata). In questo capitolo, dice che non fare il male è facile da dire, semplice da capire, ma estremamente difficile da realizzare. Cita una storia di un bonzo che chiede al maestro qual'è la grande intenzione del Buddha-Dharma. Il maestro gli risponde "Non commettere azione cattive. Praticare le diverse sorte di bene." Il bonzo ribatte che persino un bambino da tre anni potrebbe esprimere un principio così semplice, aspettandosi che la Grande Intenzione sia qulacosa di molto più sofisticato e complicato. Il maestro gli ribatte che mentre un bambino da tre anni lo possa esprimere, anche un anziano da ottanta no lo può praticare.

Maestro Dogen afferma pure che il non fare il male non è affare di discussione morale, ma di azione morale, qui ed adesso. Dice che il "Male" è soltanto "Non fare".Quel che significa con questo, è che è soltanto qui ed adesso che abbiamo la scelta dell'azione, e che qui ed adesso dobbiamo agire correttamente. La scelta dell'azione è intuitiva e non può essere concettualizzata nell'istante. Quando siamo equilibrati, agiamo. Quando non lo siamo, agiamo. Quando agiamo, ci equilibriamo. All'istante di agire, non c'è tempo di riflettere su quel che è "bene" o "male". C'è solo l'azione al momento presente. Quando agiamo correttamente, manteniamo lo stato pacifico dell'equilibrio, e quando agiamo scorrettamente, ci perturbiamo.

Benche dica il Buddhismo che l'azione morale non è soggetto a discussione, ma bensì affare dell'azione nostra qui ed adesso, spiegare la situazione può aiutare. Aiuta a capire la semplice situazione di causa e di effetto, e come si stende, non solo attraverso il mondo fisico, ma anche nella sfera della morale. Se la nostra condotta e corretta, agiamo di accordo con tutto ciò che ci circonda e non ci perturbiamo noi stessi, ma seguiamo la legge dell'Universo. Se la nostra condotta è cattiva, ci perturbiamo e perdiamo l'equilibrio. Perdiamo la nostra pace interna, ma perché l'agire al presente è la base di questo equilibrio, è nell' agire che si compie la nostra redenzione. Possiamo allora dimenticare la nostra condotta cattiva passata ed entrare nello stato di equilibrio al momento presente. E dice che il modo migliore per trovare il nostro equilibrio al presente, è di praticare Zazen. Vi sono tanti modi per noi di agire sinceramente, e tutte queste azioni consistono nel trovare l'equilibrio al momento presente. Ma la pratica di Zazen è così chiara, così semplice, è così facile di appogiarvisi che la adoperiamo in tanto del nostro metodo standard. E' salvazione. E' il modo di realizzare la vera natura dell'azione morale praticando l'azione morale al momento presente

 

D: Mi chiedo se è una contradizione o se è solo un paradosso: Lei dice che "Se siamo un po' squilibriati o perturbati", agiamo a volte in un modo che non agiremmo normalmente. Quando agiamo così, eccitiamo o perturbiamo noi stessi prima di tutto. Eppure Lei dice pure che "Quando agiamo, ci mettiamo in equilibrio", e che, perché l'agire al presente è la base dell'equilibrio, "è agendo che si compie la nostra redenzione". Suppongo che quel che Lei dice qui, è che agendo "correttamente", recuperiamo il nostro equilibrio. Ma come possiamo agire correttamente quando non siamo equilibrati? Sarà di per la nostra scelta, il libero arbitrio, che esiste al momento presente? Non richiederà una certa forza o volontà (o sarà l'intelletto?) per andare contro il nostro stato di squilibrio?

R: Quel che dice a proposito di contradizione o di paradosso è esatto. C'è qui un paradosso. Questo paradosso è, come potremo mai rimetterci al momento presente dalla nostra cattiva condotta passata, cioè ogni momento anteriore al momento presente. Credo che la risposta al paradosso no può trovarsi altro che nell'esperienza reale. Ci riprendiamo, infatti. Se tento di analizzare la cosa, sento che mi riprendo attraverso due cose: l'una stando grazie alle mie azioni sussequenti eni momenti presenti sussequenti, e l'altra grazie alla pratica di Zazen. Ma la remissione che sopraggiunge naturalmente grazie alle azioni sussequenti nei momenti sussequenti è abbastanza lenta: ci vuole tempo. Mentre, nelle pratica di Zazen, sento che la mia condotta passata si dissolve nell'aria diafana. Sparisce. Sento che mi rimetto in piedi direttamente. Ma se si considera quello come un processo, vi sono gradi. Se sono molto perturbato, allora ci vogliono molti momenti di azione quotidiana per tornare alla normale. E mi ci vogliono molte sedute di Zazen per ricuperare il mio stato pacificato. Ma l'aspetto principale, è che credo in un "metodo di redenzione", cioè un metodo per rimettermi in gamba. anche se no sento alcuna intenzione di riscattarmi quando pratico Zazen, è così che lo posso descrivere meglio. No pratico Zazen per rimettermi in gamba, ma sento che Zazen E' rimettermi in gamba. Dimodoché, per tornare alla Sua domanda di partenza, "Come possiamo agire in uno stato di squilibrio e perturbarci, ma poi agire al momento seguente per reataurare il nostro stato di equilibrio", l'unica risposta che possa trovare, è che lo facciamo davvero. agiamo EFFETTIVAMENTE a volte a mo' di perturbarci, e chiamiamo EFFETTIVAMENTE questo tipo di azione "cattiva". E POSSIAMO agire nel momento seguente, e ricuperare qualcosa del nostro equilibrio. E' quel che facciamo ad ogni momento. La definizione migliore di questo processo è un' "oscillazione" attorno allo stato di equilibrio. Ma se tentiamo di descrivere quel che si produce nel dettaglio, viene un paradosso. Non è consistente, al livello logico. Nel Shoaku-makusa, Maestro Dogen scrive "Quando il Dharma sta in equilibrio, il male sta in equilibrio". Nell'azione presente, non c'è nulla che sia separato della realtà e che possiamo chiamare "cattivo".. Maestro Dogen scrive che siamo sempre libre al momento presente e che la libertà è libertà di agire completa. Ma nello stesso tempo, la nostra azione viene influenzata dal nostro stato fisico, che a sua volta è indotto dai nostri momenti passati. Questo fà sicché non siamo liberi, siamo legati dalla causa e dall'effetto. La soluzione al paradosso non è una soluzione intellettuale; si trova nella reale azione concreta al momento presente. Al momento di agire, ogni discriminazione tra bene e male sparisce. Il giudizio viene sempre dopo l'evento.

 

( Windbell Publications 1997)



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